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Clan Conan - Battaglia dell'Idaspe 326 A.C.

Fra i condottieri dell’antichità Alessandro Magno, per noi europei, è quello che suscita maggiori suggestioni e interrogativi. La sua fulminea ascesa al potere, così come la sua morte prematura, sono tracce di una storia avvincente ed enigmatica che continua ad affascinarci a più di duemila anni dalla sua scomparsa. Il grande pubblico ha potuto apprezzare le sue gesta attraverso il film “Alexander” di Oliver Stone. Avendo un approccio divulgativo per neofiti e non addetti ai lavori del wargame, abbiamo preparato lo scenario della battaglia basandoci, tra gli altri, sul libro “Alessandro” di Robin Lane Fox, lo stesso cui si è ispirato il regista. Rispetto agli altri testi di storia militare, questo libro sembra più un romanzo, non perché non sia accurato, tutt’altro. La personalità del protagonista è così dirompente da permeare ogni stralcio del racconto. Le vittorie, i drammi, lo sconforto, le smisurate ambizioni, le crudeltà e i gesti d’incredibile magnanimità, compiuti in sua presenza o in sua assenza, sembrano avere un unico denominatore comune: Alessandro.

La spinta propulsiva dell’armata macedone verso l’Oriente non si esaurisce con la conquista dell’Impero Persiano. Nella sua visione omerica dell’esistenza, nella sua necessità di emulare gli eroi del passato, di compiere gesta ritenute impossibili e di guadagnarsi la gloria immortale, il giovane sovrano sposta sempre più avanti il confine della sua ambizione, trascinando con sé uomini già paghi di quanto compiuto. La sua non è mera voglia di conquista, di ricchezze o di potere, è qualcosa di più profondo. Dopo aver acquisito l’impero di Dario III, Alessandro è già il regnante più ricco del mondo. La sua è una sovrumana curiosità, un desiderio insopprimibile di plasmare con le sue mani l’ignoto, la ricerca dell’immortalità e la deificazione attraverso l’esplorazione e la conquista di luoghi sconosciuti in patria.

È possibile riassumere tutto questo con una sola parola: India.

Nella mitologia greca solo Eracle e Dioniso si sono spinti così in profondità in Asia. Alessandro non poteva essere da meno. Il paese che si apprestava a invadere era composto da piccoli regni indipendenti, in costante lotta fra loro, una preda apparentemente facile. Non sarà così. La natura ostile avrà il suo peso nel decimare le fila del suo esercito, altrettanto dura sarà la conquista delle roccaforti montane abitate da tribù fiere e ostili, determinate a conservare la propria autonomia. Il viaggio in India è un sentiero lastricato di sangue. Chi non si arrende è sterminato oppure inglobato come schiavo. I reggenti che si mostrano accondiscendenti e si sottomettono se la cavano con il versamento di tributi e il mantenimento della propria carica, una pratica consolidata già sperimentata con le varie satrapie dell’impero persiano.

Scortato da Ambi, rajah di Tassila, città appena sottomessa, i macedoni si trovano di fronte un ostacolo apparentemente insormontabile. Oltre il fiume Idaspe appare un uomo deciso a sfidare l’invasore. Il suo nome è Poro.

Alessandro invia un messaggero al rajah riottoso invitandolo a presentarsi con un tributo. Egli risponderà che sì gli sarebbe venuto incontro, ma col suo esercito. E fu di parola. Quello che i macedoni si trovarono di fronte fu uno spettacolo terrificante. A intimorirli non furono i carri da guerra con quattro cavalli e sei fanti, l’élite dell’esercito indiano. Avevano già affrontato i carri persiani a Gaugamela vanificando la strategia del Gran Re Dario, né li impensierirono le migliaia di arcieri con archi lunghi e frecce pesanti in grado di perforare qualsiasi corazza, no: ad atterrire il loro morale furono le centinaia di elefanti da guerra posti a difesa del fiume. L’intensità delle piogge rendeva il guado di per sé già difficoltoso e delle bestie colossali e agguerrite erano pronte ad assalire quanti sarebbero riusciti a superare le tortuose acque dell’Idaspe. Perfino i veterani esitavano di fronte a una prospettiva così nefasta.

Qualsiasi altro stratega avrebbe rinunciato, ma non Alessandro.

Quello che appare come un dilemma impossibile da risolvere, per lui diventa una sfida che deve essere vinta ad ogni costo. Non poteva lanciare la cavalleria pesante degli Eteri come al Granico attirando a sé le forze nemiche mentre la fanteria attraversava indisturbata, la vista e l’odore degli Elefanti avrebbero fatto imbizzarrire i cavalli, né la temutissima falange macedone poteva forzare le sponde sotto un diluvio di frecce e in completo disordine presentarsi sulla riva opposta ad affrontare i mastodonti.

Fu qui che intervenne il suo genio. Iniziò una guerra di nervi, simulando attraversamenti lungo tutto il corso del fiume, creò diversivi nonché la convinzione che fosse disposto ad attendere la fine della stagione delle piogge, come se si trattasse di un assedio.

Le guardie indiane furono stremate e infastidite da questi innumerevoli falsi allarmi finché non abbassarono l’attenzione, convinte che ormai il nemico avesse rinunciato all’azione. A circa venticinque miglia dal campo principale, gli esploratori macedoni scoprirono un punto dove poter attraversare, seppur con difficoltà, un piccolo sperone boschivo che si estendeva nell’ansa del fiume. L’intero esercito però non poteva spostarsi nel punto prescelto senza essere avvistato, né sarebbe stato in grado di attraversare prima che il nemico gli fosse addosso. Alessandro allora organizzò un nucleo di combattenti specializzati per l’azione composto dai suoi cavalieri migliori, gli Eteri, gli arcieri a cavallo Sciti e Dahi, la cavalleria Iranica, i suoi fidati portatori di scudo, gli assaltatori Traci e gli arcieri appiedati. Le imbarcazioni necessarie al passaggio furono smontate e rimontate nei pressi del guado. In questo fu aiutato sia da una tempesta notturna, il cui fragore copriva il rumore e limitava la visibilità, sia dai grandi fuochi accesi al campo principale dove dare la parvenza che l’intero esercito fosse ancora accampato.

Il resto dell’esercito comandato da Cratero rimase al campo, fatta eccezione per un piccolo distaccamento agli ordini di Meleagro schierato tra i due corpi. La forza principale doveva attraversare il fiume solo in caso di vittoria macedone oppure simulare il guado nel caso in cui gli incursori avessero fallito il loro compito.

Il piccolo contingente invece poteva allo stesso tempo coprire eventuali aggiramenti sia intervenire oltre il fiume per impegnare sul fianco il nemico. Una strategia estremamente complessa, fondata su elevatissimi fattori di rischio e sull’estrema fiducia che il re nutriva verso i suoi comandanti subalterni.

È tempo di agire. I macedoni iniziano l’attraversamento coperti dal fragore della tempesta e dall’oscurità, ma commettono un errore. Invece di approdare con le imbarcazioni sulla riva opposta, sbarcano su un isolotto al centro del fiume. Non gli resta che guadare a cavallo o a piedi quanto li separa dall’altra sponda. In sella a Bucefalo Alessandro s’immerge nelle acque vorticose, sprona il suo cavallo e raggiunge la riva, imitato dal resto delle truppe. Le guardie indiane, accortesi dell’attacco, invece di molestare i nemici e impedirgli il passaggio, fanno immediato ritorno al campo per informare Poro. Una fortuna inattesa. I macedoni raggiungono indisturbati la terra ferma. Il rajah invia la cavalleria e i carri da guerra, le sue truppe più veloci, a intercettare il nemico.

Il terreno acquitrinoso nei pressi del fiume limita l’azione dei carri. Le pesanti ruote affondano nel fango, trasformandoli in facili bersagli per gli agili arcieri a cavallo asiatici.

La cavalleria Indiana assalita dall’impeto degli Eteri scopre il motivo per cui essi sono ritenuti i migliori cavalieri del mondo. I piccoli giavellotti non possono competere con le lunghe lance macedoni. In pochi minuti vengono sbaragliati e messi in fuga. Quelli che riescono a far ritorno da Poro lo informano dell’accaduto. Il rajah scopre le sue carte, lascia un presidio di fronte alle forze di Cratero e risale l’Idaspe per andare incontro al suo destino.

In vista del nemico schiera i suoi elefanti a intervalli regolari in mezzo ai quali posiziona la sua fanteria. A entrambe le estremità quel che resta della cavalleria. Un altro dilemma si fa strada ora nella mente di Alessandro. Né gli arcieri a cavallo né i suoi Eteri possono nulla contro i pachidermi che si ergono come torri in mezzo al campo. Gli assaltatori Traci con le loro lunghe lame ricurve possono tranciare la proboscide dei pachidermi facendoli impazzire di dolore, mentre i portatori di scudo, armati di asce, possono azzopparli, rendendoli inoffensivi. Non possono però raggiungere il bersaglio a causa della cavalleria nemica. Avanzare in campo aperto senza la protezione dei propri cavalieri equivarrebbe a un suicidio. È qui che Alessandro compie un’altra astuzia. Assale l’ala sinistra nemica non protetta dagli elefanti. Ad aprire le ostilità sono ancora gli arcieri a cavallo che, dotati di un piccolo arco composito, non hanno i problemi degli arcieri indiani a tendere i loro voluminosi archi la cui tecnica di caricamento risente del terreno molle. Scaricano le loro frecce e ingaggiano la cavalleria Indiani che nel frattempo gli va incontro.

A seguire intervengono gli Iranici scagliando i loro giavellotti creando scompiglio tra le file nemiche. A questo punto Alessandro in testa ai suoi Eteri comanda la carica sapendo di essere visto dal suo rivale.

Avvedutosi della violenza dell’assalto e dell’opportunità di colpire alla testa e al cuore l’esercito macedone, Poro ordina alla cavalleria alla sua destra di aggredire Alessandro sul fianco. Più avido che accorto, il rajah ignorava l’altra cavalleria agli ordini di Ceno che, in modo lungimirante, era rimasta inattiva fino a quel momento proprio per scatenarsi contro una simile mossa. Fu così che il miraggio di un facile successo si trasformò in pochi attimi nel preludio di un disastro.

Colpita da dietro la cavalleria indiana appena entrata in scena, cede di schianto, cercando riparo nei varchi difesi dagli elefanti, al pari dell’ala sinistra, incapace di reggere l’urto degli Eteri. È a questo punto che il genio di Alessandro brilla della sua luce più fulgida. I pachidermi con la loro mole ostacolano la ritirata dei cavalieri indiani che seminano il caos tra le fila del loro esercito. Nel frattempo Traci e Portatori di scudo si uniscono allo scontro. Poro rintuzza come può gli attacchi macedoni lanciando tutti gli elefanti nella mischia. È una mattanza. Gli elefanti sconvolti per le ferite subite seminano il panico calpestando amici e nemici. Nel frattempo i contingenti macedoni intuita l’opportunità guadano il fiume per ingaggiare i fianchi nel nemico. L’armata indiana inizia a sgretolarsi, anche se il suo comandante, ferito, si ostina a mantenere la posizione, seminando morte in sella alla sua colossale bestia. Un giavellotto lo raggiunge a una spalla lasciandolo esanime. La scena che si para di fronte ai macedoni è delle più suggestive. L’animale adagia delicatamente a terra il corpo del suo padrone liberandolo dall’arma. Gli altri elefanti sfiniti si prostrano anch’essi a terra abbassando le proboscidi ed emettendo un sibilo, segno di grande sofferenza per questa specie.

Impressionato dal coraggio del suo avversario, piuttosto che ucciderlo, Alessandro invia Ambi come ambasciatore a parlamentare con lui. Il vecchio indiano viene ricacciato in malo modo. Un altro interprete riesce invece a porre al rajah la fatidica domanda: “Come vuoi essere trattato?”. “Come un re!” replica in modo asciutto Poro. Alessandro, impressionato dal coraggio e dalla grande dignità del suo rivale, concede non solo il mantenimento della carica ma, nei mesi che seguiranno la sua avanzata in India, aumenterà il regno di Poro, annettendogli le città che verranno sottomesse. Seppur sconfitto, il rajah si ritroverà con un regno più grande di quanto aveva in precedenza. La generosità dimostrata dal macedone alimenterà negli storici indiani la convinzione, erronea, che egli avesse in realtà perso la battaglia. Tra tutte quelle combattute, quella dell’Idaspe fu tra le più sanguinose e una perdita, più delle altre, farà soffrire molto Alessandro, quella del suo amato destriero Bucefalo al quale dedicherà una città per onorarne il ricordo.

Il viaggio in India proseguirà ancora più in profondità fin quando l’esercito, stremato dalle fatiche patite nei lunghi anni di guerra ininterrotti, si opporrà al sovrano, costringendolo a tornare indietro. La strada del ritorno sarà per esso un tormento superiore a quelli finora patiti quando, nel tentativo di attraversare il deserto del Makram, le sue fila saranno decimate dalla fame e dalle sete, un tragico destino per i veterani che hanno conquistato, in pochi anni, l’impero più grande finora conosciuto.

Il sogno d’invadere l’Arabia e di unificare Oriente e Occidente svaniranno entrambi per colpa dell’unica sfida che Alessandro non è riuscito a vincere, quella contro la morte.

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