Le guerre daciche

Introduzione

Questo tavolo dimostrativo è ambientato durante la prima invasione in Dacia di Traiano e rappresenta 2 scenari.

Il primo scenario è una colonna romana in avanzata che subisce un'imboscata in cui i guerrieri Daci, nascosti nella fitta boscaglia, attendono il momento propizio per aggredire gli invasori: Decebalo, re dei Daci, sa che il suo esercito non ha molte speranze di vittoria in campo aperto e sfrutta le asperità della sua terra per cogliere di sorpresa i nemici.

Nel secondo scenario la cavalleria romana, supportata da truppe ausiliarie, intercetta la cavalleria dei Rossolani, alleata di Decebalo. Questi impiegano l'agile cavalleria leggera armata di arco per scompigliare le file nemiche preparando il terreno alla devastante carica dei cavalieri catafratti dotati di kontos, un lungo palo con la punta acuminata. Soltanto la macchina bellica romana è in grado di contrastare una combinazione così letale.

Cenni storici

All’alba del II secolo D.C. l’imperatore Marco Ulpio Traiano conquista la Dacia, un territorio che corrisponde pressappoco all’attuale Romania. Con due successive campagne militari, nel 101 e nel 106 D.C., annienta l’esercito Dacico e ne conquista la capitale Sarmizegetusa Regia, costringendo il re Decebalo alla fuga e, in ultimo, al suicidio.

A causa della scarsità di testi sopravvissuti, la principale fonte d’informazione è costituita dalla Colonna Traiana, un monumento che, pur svolgendo una palese funzione celebrativa delle gesta dell’imperatore, fornisce una base fondamentale da cui partire per conoscere la conquista romana della Dacia.

Gli studiosi sono divisi nell’accettare completamente o no la validità di questa testimonianza. Ciò non toglie che, a parte frammenti letterari come i “Commentarii de bello dacico”, “Getica” di Critone o il complesso monumentale “Tropaeum Traiani”, essa è senza dubbio la fonte più importante.

Le cause della guerra

Prima dell’ascesa al trono imperiale, Traiano si era distinto come comandante delle legioni in Germania. Tuttavia, una volta assunto il comando supremo, aveva bisogno di una conquista che ratificasse il suo potere a Roma, città piena d’intrighi, in cui il destino di un imperatore non poteva prescindere dal consenso popolare o da quello dei suoi più alti rappresentanti.

Oltre alle motivazioni personali, le casse imperiali erano vuote a causa delle politiche inconcludenti di Domiziano che tentò, senza riuscirci, di sottomettere anch’egli la Dacia. Ai Romani erano note le cospicue risorse minerarie del nemico, anche se una volta messe le mani sul tesoro nascosto di Decebalo, dovettero ricredersi, avendo largamente sottostimato l’ingente patrimonio a sua disposizione.

In ultimo, la necessità di contenere le incursioni lungo il “limes” che, sempre più frequenti e dannose in quella regione, indebolivano le risorse e la solidità dell’Impero, pertanto non potevano restare impunite. Questi raid non erano semplici scorrerie. Animati dal desiderio di bottino, gratificavano la nobiltà dacica che li organizzava, accrescendone lo status. Il forte spirito d’indipendenza di questo popolo era una sfida aperta agli occhi dei Romani.

Nessun forte potere centrale doveva minacciare il loro confine. La spregiudicatezza politica di Decebalo, poteva sollecitare sentimenti avversi delle popolazioni confinanti, spingendole in funzione antiromana, con esiti disastrosi; evenienza che avremo modo di riscontrare proprio durante la prima spedizione di Traiano.

Roma va in guerra (101-102 D.C.)

L’imperatore recluta 14 legioni, 70.000 uomini più ausiliari aventi pressappoco la stessa consistenza, per un totale di circa 150.000 soldati. Essendo un esperto condottiero, prende tutte le precauzioni necessarie per avanzare in territorio nemico, bonificando tutti i capisaldi e tessendo una fitta rete di esploratori per evitare d’incorrere in imboscate.

La lenta avanzata procede, mentre i Daci evitano scontri aperti, fino a Tapae, le cosiddette porte di ferro, dove avviene la battaglia. Lo scontro che ne segue arride ai Romani, seppur a costo di terribili perdite. In questa circostanza si narra che l’imperatore stracciò le sue vesti per farne bende per i feriti.

La fiera e ostinata resistenza dacica si sposta sulle colline circostanti la capitale, Sarmizegetusa. Quando tutto sembra andare per il verso giusto, Traiano è costretto a stipulare una frettolosa pace con Decebalo a causa di una devastante invasione di barbari in Mesia Inferiore architettata da quest’ultimo. Non potendo combattere su due fronti, l’imperatore impone al nemico un trattato sfavorevole e si precipita in difesa del territorio.

Con una fulminea avanzata intercetta la coalizione e la sconfigge nei pressi della foce dell’Oescus. Per Traiano si tratta di una vittoria a metà: privata di buona parte degli effettivi dell'esercito e di una porzione del suo territorio, ora la Dacia non rappresenta più una minaccia per Roma. Le condizioni imposte ai vinti sono pesanti, ma i Daci non le rispetteranno completamente, ponendo le basi per la seconda invasione.

Una pace effimera

La forte centralità del potere dacico, il disarmo e la religione così invasiva negli affari di stato, unita all’incapacità dei vinti di accettare la sconfitta, alimentano una crescente ostilità agli invasori che non vengono tollerati.

Durante il periodo tra le due guerre, Decebalo continuò instancabilmente la propria attività diplomatica cercando di sollevare tutti i popoli limitrofi contro Roma. Purtroppo per lui, neanche le generose offerte d’oro riuscirono ad attirargli consensi, tantoché all’alba del nuovo conflitto, il re si trovò praticamente solo ad affrontare l’inevitabile reazione capitolina.

Contravvenendo ai trattati, Decebalo rinforza i suoi presidi lungo le direttrici d’avanzamento usate dal nemico in precedenza e sfrutta la sua tecnologia per riarmare le sue forze. Il comune sentimento di rivalsa fa precipitare la situazione fino a spingere i Daci a massacrare le guarnigioni romane scatenando l’ira dell’imperatore.

La conquista della Dacia (105-106 D.C.)

Nel periodo tra le due guerre Traiano presidia con forze consistenti il basso corso del Danubio e realizza numerose infrastrutture per facilitare la successiva invasione: la questione dacica era tutt’altro che conclusa.

Con la consueta meticolosità, l’imperatore predispose un’invasione lungo tre direttrici nell’intento di circondare il centro di potere, Sarmizegetusa. Per far questo era necessario riappropriarsi delle fortificazioni cadute dopo la sollevazione popolare. Il prezzo da pagare per ogni metro di terreno conquistato fu alto poiché i Daci, consapevoli dell’impossibilità di sconfiggere il nemico, si risolsero a combattere fino all’ultimo uomo.

Alla fine la città capitolò con consueta strage degli assediati. Decebalo riuscì momentaneamente a fuggire ma, braccato dalla cavalleria romana, fu costretto al suicidio dopo un lungo inseguimento per evitare di cadere prigioniero. Con la sua dipartita cessa ogni forma di resistenza organizzata e la Dacia è vinta.

A parziale compensazione dei sacrifici sostenuti, il tesoro reale in termini di monete d’oro, d’argento e monili permise a Traiano di rimpinguare le casse imperiali, alimentando una frenesia costruttiva ed una fastosità di celebrazioni mai viste.

Esercito romano

Sotto Traiano l’esercito romano raggiunse uno dei massimi livelli d’efficienza. I legionari del primo periodo imperiale sono facilmente riconoscibili per la celebre Lorica Segmenta, la corazza a placche sovrapposte, e dal grande Scutum rettangolare. Nel loro arsenale troviamo i pila, i giavellotti con la punta di ferro in grado di perforare gli scudi nemici piegandosi dopo l’impatto, rendendoli inutilizzabili e lasciando il nemico privo di protezioni nella mischia imminente, ed il celebre gladio, la corta daga usata in affondo giustamente temuta dai barbari.

I soldati sono sottoposti a incessanti allenamenti per reagire prontamente a ogni minaccia. Anche il sistema difensivo viene rinforzato con l’aggiunta di due staffe sopra l’elmo e una manica corazzata per resistere ai colpi delle falci daciche, letali spade curve calate con inaudita violenza sul nemico, in grado di perforare elmi, spaccare scudi e tranciare braccia. Affiancati dalle truppe ausiliare, dalla cavalleria nelle sue varie specialità e da eccellenti macchine ossidionali, avranno ragione della fiera resistenza dacica.

Esercito dacico

Ci sono molte analogie tra i Daci e gli altri popoli barbari che i Romani hanno affrontato. La fanteria armata di giavellotto e scudo costituisce il nerbo delle truppe che, secondo l’usanza comune, tempesta di proiettili il nemico prima di scagliarsi in una carica feroce contro di esso. Le corazze in maglia che coprono metà delle braccia e arrivano fino al bacino sono a disposizione esclusivamente dei nobili; questi indossano anche caratteristici elmi in metallo riccamente decorati. Il resto dei soldati combatte a capo scoperto oppure indossa il caratteristico berretto floscio chiamato pileus.

L’arma più temuta dell’arsenale dacico è la falce, una lunga spada ricurva di derivazione tracica, simile alla romphaia, uno strumento offensivo così letale da costringere i Romani a implementare il loro sistema di protezione individuale. A supporto della fanteria troviamo arcieri e lanciatori di giavellotto, impiegati nei preliminari dello scontro per infastidire le formazioni nemiche e la cavalleria leggera, usata per tendere imboscate e per inseguire i nemici sconfitti.

Gli alleati di Decebalo più temuti sono i Rossolani, cavalieri su destrieri corazzati, armati di kontos, una lunga lancia e gli arcieri a cavallo Sarmati, cavalleria leggera in grado di scagliare nugoli di frecce contro i nemici per poi allontanarsi prima del contatto.

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