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Battaglia di Maratona - 490 A.C.

 

MAGICO INCANTO S’EBBE ALLOR DI MARATONA IL NOME - 490 a.c.

L’eco di questa battaglia e le sue conseguenze risuonano fino ai giorni nostri. Non un mero fatto d'armi ma un vero e proprio scontro di civiltà. Occidente contro Oriente, Grecia contro Persia, cittadini soldati contro sudditi, la brutalità del corpo a corpo contro gli attacchi a distanza, il sogno di una civiltà libera contro il dilagante potere dell’Impero più vasto che la Storia avesse mai conosciuto. Due modi distanti d’intendere non solo la società ma la vita stessa dell’uomo, sia come individuo sia come collettività.

Le fonti e gli studiosi della materia sono discordi su molti aspetti riguardanti la battaglia, tanto che svariate ricostruzioni fatte, anche recentemente, presentano similitudini e discordanze. Abbiamo elaborato la “nostra” ricostruzione a fini ludici basandoci sul libro del Professor Peter Krentz “La battaglia di Maratona”, un punto di vista inedito che fuga alcuni luoghi comuni infondati su questo episodio.

 

Il Gigante si risveglia

Nel 499 a.c. le città costiere greche in Asia minore cercano di sottrarsi dal giogo persiano, dando vita alla rivolta ionica. Il re di Persia Dario, di ritorno da una fallimentare spedizione nella Scitia danubiana, vuole riscattarsi per ottenere gloria al pari dei suoi predecessori Ciro e Cambise, conquistatori di quelle terre sulle quali esercita il suo dominio. Per mantenere salda la sua presa sul trono ha bisogno di sedare la rivolta col sangue e riaffermare la sua forza nelle colonie sottomesse. Entrambi hanno ottenuto terre e gloria per la stirpe Achemenide, lui non può vantare ancora imprese di simile portata.

Eritrea e Atene sono le uniche città stato in madrepatria ad accogliere la richiesta d’aiuto degli Ioni. Nel 498 a.c. la rivolta culmina con la presa e l’incendio di Sardi, capitale imperiale. La reazione persiana non tarda ad arrivare. Un esercito di soccorso intercetta e distrugge i ribelli presso Efeso. Sparuti focolai di rivolta bruceranno ancora per qualche anno, prima che le spedizioni persiane li spengano riducendoli al silenzio.

 

Terra ed acqua

Assicurate le coste ora il Gran Re può dedicarsi ai suoi prossimi obiettivi: controllare il mare Egeo, punire quelli che hanno sostenuto la rivolta e appoggiare le fazioni filo-persiane nelle città greche indipendenti, minando la loro coesione dall’interno. Un primo tentativo di conquistare la Grecia muove i suoi passi nel 492 a.c., il generale Mardonio conquista la Tracia e la Macedonia, ma la flotta d’invasione è distrutta da una tempesta. Nel 490 a.c. Dario allestisce un’altra flotta, armando 600 triremi al comando di Artaferne, suo nipote e Dati, comandante in capo dell’esercito. Ad accompagnare la spedizione troviamo anche Ippia, figlio del tiranno ateniese Pisistrato, desideroso di tornare al potere nella sua città. Le stime sulla composizione dell’esercito sono discordi, ma considerando le capacità di carico e gli equipaggi delle imbarcazioni, doveva contare su quasi 20.000 effettivi tra i combattenti e più del doppio tra marinai e inservienti. La prima parte della campagna è un successo, i Persiani conquistano le Cicladi, trampolino di lancio verso l’Eubea. Eritrea è la prima ad essere aggredita. Il rastrellamento dei prigionieri è così serrato che “i soldati in circolo, prendendosi per mano, strinsero la città in una rete dalla quale nessuno poteva scappare”. Si tratta ovviamente di una metafora efficace per far capire con quanto zelo fu eseguita l’operazione.

 

La piana di Maratona

I prigionieri vengono trasferiti su altre isole mentre l’armata persiana, su consiglio di Ippia, sbarca in Attica nei pressi della piana di Maratona. Il luogo è ritenuto ideale per l’impiego della temuta cavalleria, l’arma più efficace degli invasori contro la quale i Greci non possono opporre adeguate contromisure. Ad Atene si discute che cosa fare. Tentare di resistere ad un assedio come le altre città soggiogate poi col tradimento del partito filo persiano all’interno oppure affrontare un nemico più numeroso in campo aperto? Sembra che non ci sia scelta, inviati i messi agli alleati e riunita la falange, gli Ateniesi muovono verso la piana devastata dalla cavalleria persiana. Soltanto i Platesi rispondono prontamente alla richiesta di soccorso mentre gli Spartani, impegnati a celebrare una festa in onore di Apollo, posticipano il loro intervento. Arriveranno a cose fatte.

Una volta giunto a destinazione l’esercito greco si schiera di fronte al nemico ma per almeno dieci giorni non accade nulla. Forse per un certo equilibrio delle forze, forse perché conveniva aspettare l’arrivo dei rinforzi Spartani, o forse perché la maggior flessibilità strategica dell’armata d’invasione, appoggiata da una flotta, dava tutto il tempo necessario ai filo-persiani di spostare l’equilibrio politico in città a favore dei loro sostenitori.

 

Il piano di Milziade

I dieci strateghi al comando delle rispettive tribù in cui è divisa l’armata ateniese sono discordi sul da farsi. Chi è convinto che sia un suicidio affrontare i Persiani in campo aperto senza cavalleria e chi invece è deciso a giocarsi il tutto per tutto in uno scontro risolutore. L’ago della bilancia è rappresentato dal polemarco Callimaco, comandante formale della spedizione il cui voto è influenzato dall’intervento dello stratega Milziade, ex tiranno del Chersoneso tracico che, conoscendo molto bene usi e costumi degli avversari nonché i pericoli rappresentati dalle serpi in seno ad Atene, vuole passare all’azione.

Riportiamo il passo con cui Erodoto narra l’accaduto: “Adesso dipende da te Callimaco, rendere schiava Atene oppure garantirle la libertà e lasciare di te, finché al mondo ci saranno degli uomini, un ricordo quale non lasciarono neppure Armodio e Aristogitone. Oggi infatti gli ateniesi si trovano di fronte al pericolo più grande che ami abbiano corso da quando esistono: se si piegano ai medi, è già deciso che cosa soffriranno una volta nelle mani di Ippia; ma se si vince, questa città è in grado di diventare la prima delle città greche. Come ciò sia possibile e come proprio a te tocchi la decisione suprema riguardo a questa faccenda è quanto mi accingo a spiegarti. Noi strateghi, che siamo dieci, siamo divisi tra due diverse opinioni: alcuni propongono di attaccare battaglia, altri sono contrari. Ebbene, se non combattiamo, io mi aspetto che una grave discordia si abbatta sugli ateniesi e ne sconvolga le menti, spingendoli dalla parte dei medi; se invece ingaggiamo il combattimento prima che qualcosa di marcio si insinui in alcuni ateniesi, se gli dèi si mantengono imparziali, noi siamo in condizione di avere la meglio nello scontro. Tutto questo dunque spetta a te e dipende da te: se tu ti schieri sulle mie posizioni, la tua patria sarà liberata e la tua città la prima della Grecia; se invece scegli il parere di chi sconsiglia la battaglia, accadrà esattamente il contrario delle belle cose che ti ho prospettato” (Hm VI, 109, 3-6).

Callimaco appoggia la proposta di Milziade, ma l’esecuzione è rimandata fino al giorno in cui, a causa della turnazione al comando, questi spettasse effettivamente allo stratego. Le fonti non forniscono elementi sufficienti per capire se le successive manovre attuate dalla falange greca siano tutte opera del condottiero o se, in parte, dettate dal momento e dalla fortuna. Fatto sta che quanto segue non era mai accaduto in passato.

Il suo piano è semplice ma rischioso. Gli effettivi greci non consentono di coprire l’estensione del fronte persiano mantenendo la consueta profondità di otto file, per cui il centro della falange viene ridotto a quattro, lasciando immutate le ali. Questa soluzione non risolve però né il problema degli arcieri né della cavalleria. Nei giorni antecedenti lo scontro Milziade aveva avuto modo di osservare le operazioni della cavalleria nemica, accorgendosi che era necessario molto tempo affinché questo reparto fosse pronto alla battaglia affiancando sulle ali lo schieramento di fanteria e arcieri, vuoi perché il suo accampamento era distaccato da quello della fanteria, vuoi perché la preparazione degli stallieri richiedesse un certo lasso di tempo. Combattere, ma quando? Alcuni storici sostengono che l’attacco sia stato lanciato quando parte delle forze persiane si sarebbero imbarcate, per minacciare Atene dal mare mentre il suo esercito era impegnato a Maratona. Non ci sono prove che le forze persiane siano effettivamente divise, né ora, né in precedenza. Erodoto riporta che solo al termine dello scontro gli invasori riprenderanno effettivamente il mare. Cosa fanno i Persiani nel frattempo? Nessun esercito greco ha mai caricato uno persiano, né particolari mutamenti sono intervenuti nell’ordine delle forze. I dieci giorni precedenti sono trascorsi senza alcun contatto, la cavalleria ha potuto scorrazzare indisturbata nella piana ed i tanti attesi rinforzi spartani sembrano ancora lontani. I Persiani hanno dalla loro l’iniziativa strategica offerta dalla flotta d’appoggio mentre il tempo, come presagito da Milziade, gioca a sfavore degli Ateniesi. La serpe in seno sta per mordere al cuore la democrazia, il Mede attende che il veleno faccia il suo corso.

 

Hormate kat’auton (correte contro di loro)

La celebre frase che Erodoto fa pronunciare a Milziade risolve la questione. I due eserciti sono separati da una distanza di otto stadi (circa 1,448 km). Non c’è tempo da perdere. L’avanzata inizia con un moderato passo veloce, poi accelera sempre di più trasformandosi in corsa negli ultimi 400 metri. I Persiani credono che gli Ateniesi siano folli. Come possono attaccare senza arcieri né cavalleria per di più in inferiorità numerica? Lo stupore lascia il posto allo sgomento. Animati da incredibile coraggio e spirito guerriero, gli opliti affrontano con sprezzo del pericolo i loro avversari, disposti al riparo della barriera di scudi eretta a protezione degli arcieri. Mai tanti gesti di valore verranno cantati nei secoli a venire. Sembra che gli dèi stessi combattano tra le fila greca eppure non si tratta d’intervento divino, ma di semplice lotta per la sopravvivenza.

I combattenti al centro si trovano immediatamente a mal partito, essendo in grave inferiorità numerica, le ali invece progrediscono con una certa facilità. Il centro greco cede di fronte alla spinta nemica, al contrario le ali mettono in rotta i loro avversari diretti ricacciandoli verso la spiaggia. Una parte degli opliti insegue il nemico in rotta mentre il resto converge verso il centro nemico chiudendolo in una morsa. Questo doppio accerchiamento su entrambi i fianchi rappresenta una novità in fatto di battaglie oplitiche nelle quali solitamente era l’ala destra a convergere verso il fianco sinistro nemico per effetto dello slittamento obliquo delle falangi durante la fase di avvicinamento al nemico. I Persiani al centro, vedendo attaccati su più fronti si danno alla fuga, chi cercando inutilmente scampo nella palude, chi cercando di salire sulle navi all’ancora in procinto di salpare. Con questa audace e spregiudicata manovra Milziade garantisce agli Ateniesi una vittoria schiacciante. 192 sono i caduti tra i Greci, compreso il polemarco Callimaco, mentre le stime dei caduti Persiani si aggirano intorno ai 6.400 caduti.

Si tratta di un dato forse iperbolico alimentato probabilmente dalla propaganda ateniese negli anni a venire, quel che è certo è che Dario subì una dura lezione e la punizione degli infidi Greci doveva necessariamente essere rimandata.

La nostra visione euro-centrica della storia fa assumere a Maratona il ruolo di sconfitta rovinosa per il Gran Re. La sua campagna in effetti aveva fallito soltanto uno degli obiettivi strategici previsti ma aveva aperto le porte ad altre sventure che di lì a poco, l’arrogante dinastia Achemenide avrebbe dovuto patire.

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